Il mito non è semplicemente una storia, semmai è un infinito intreccio di storie. Per questo il mito è poesia. Questa molteplicità di storie rende il mito qualche cosa di vivo, da scoprire, da interrogare, da svelare e rivelare.
Medea è una storia che si moltiplica nei secoli. Christa Wolf, Ovidio, Apollonio Rodio, Euripide, Jean Anouilh, Franz Grillparzer, Corrado Alvaro, Corneille, Seneca, Quinto Ennio assieme a molti altri scrittori, musicisti, pittori hanno alimentato questo mito molteplice di una donna straniera. La nostra scrittura teatrale si muove su alcuni piani: Medea è donna, straniera e selvaggia, creatura altra che resiste e ama. Ama aldilà di ogni valore, aldilà di ogni morale. Resiste e sfugge al potere, regina adolescente a cui tutto si può chiedere, depositaria di un sapere profondo e antico. La radice del suo nome, med, richiama la parola medicina. Il pharmakon che cura e avvelena. Che può salvare e uccidere. Radice del venenum, di qualcosa che trasforma e muta. Medea, scacciata e bandita dal potere, stigma della donna selvaggia, rivendica il solo orizzonte che incrina e mette in crisi il potere: il desiderio. Medea ama, Medea ama l’amore, Medea vive nel desiderio che prende e dona forma alla vita.
Venite a questo banchetto, riconoscete l’odore della festa, Mater Medea vi invita a resistere dentro il desiderio.